È già più di un mese ormai che siamo rientrate a casa. E
pensare a Tshimbulu da quassù è davvero strano. Tanto diverso che a volte mi
sembra non sia nemmeno possibile esista quella realtà. Altre invece la sento
ancora martellare in testa e nel cuore, tanto forte che mi viene una nostalgia
incredibile. Nostalgia che paradossalmente, laggiù, non ho mai sentito pensando
a casa, quassù.
Comunque, ho letto l’articolo di Marianna e colgo
l’occasione per alcune riflessioni. Chissà che non possano risultarle utili.
È indubbiamente vero che la violenza è parte integrante
della vita dei bambini congolesi, e del loro sistema educativo. Non so se le è
mai capitato di assistere ad una lezione di scuola elementare…lo schiaffo in
testa è quasi una maniera di richiamare l’attenzione. Lungi da me voler
giustificare questo metodo. Trovo sia giusto però dire che noi (Anto ed io),
così come tutte le altre persone passate di lì (tra cui maestre elementari ed
altri scout) ci siamo messe d’impegno per far entrare in testa a tutti, bambini
e non, che questo non è il modo giusto di ottenere rispetto, ordine e
“disciplina”. Quando siamo arrivate c’era l’usanza di chiudere nello sgabuzzino
al buio i bambini che avevano combinato qualche marachella, uno alla volta,
tanto per fare un esempio di ciò che abbiamo trovato. Mi auguro sia una
punizione ormai caduta in disuso. In nostra presenza eravamo riuscite ad
ottenere una totale assenza di uso delle mani, non senza fatica, ovviamente, e
non con l’illusione che l’atteggiamento non si ripeterà mai più. Purtroppo,
essendo i bambini abituati a questo tipo di educazione, è estremamente
difficile riuscire a farsi rispettare senza usare la forza. Tanto più se si è
donne, e bianche. Non è mai successo che noi si cadesse nella tentazione di
mettere le mani addosso ai bambini (anche se, fidatevi, a volte sanno davvero
mettere a dura prova la pazienza), eppure tutti i partecipanti alle attività
avevano imparato a riconoscerci come delle autorità, a rispettare compiti,
obblighi e sgridate senza il bisogno di prenderli per le orecchie o altro.
Certo, ci vuole tempo. Ma soprattutto, ci vuole un atteggiamento positivo,
propositivo. Mi dispiace leggere che Marianna pensa addirittura siano
“incivili”. Indubbiamente hanno una cultura diversa dalla nostra, ma questo non
significa non ci sia o sia meno ricca. Mi chiedo quanto possa essere
costruttivo questo tipo di atteggiamento…e un po’ mi sento in dovere di
difendere chi non può farlo da sé perché non legge il blog e non parla
italiano. Gli animatori del casc sono tutti volontari. A parte Cesco e
Jeanpaul, ai quali Katia paga la scuola solo se sono regolari alle attività,
gli altri vengono perché credono sia giusto farlo. Nei nostri tempi migliori
eravamo arrivate ad avere 14 collaboratori, tutti a tempo perso, tutti con il
solo guadagno del piacere di fare qualcosa per qualcun altro. Vien da se che
quindi vanno motivati, vanno fatti sentire importanti, inclusi in ogni processo
decisionale. E forse se si parte dal presupposto siano degli incivili o che non
siano in grado di ragionare, diventa tutto più difficile. Sono dei ragazzi con
delle grandi potenzialità, sta a voi riuscire a tirargliele fuori. E sono più
che sicura ce la farete.
Sono consapevole che ogni esperienza sia unica, che le
impressioni e le emozioni di qualcuno non possono essere condivise uguali da
qualcun altro. Ma noi, sono più che sicura di poter parlare anche a nome di
Anto, ci siamo innamorate di quel villaggio, dei suoi abitanti e di quella
cultura tanto difficile da capire all’inizio. Potessi, prenderei un aereo e
scenderei domani. Credo per noi sia andato tutto bene, ovviamente non senza
attimi di sconforto, momenti difficili e situazioni quasi ingestibili, perché
abbiamo capito che dovevamo fare qualche passo indietro per poterci avvicinare
davvero alle persone che ci stavano attorno. E non dico indietro nel senso di
regresso, ma un paio di passi più lontane dalla nostra cultura di appartenenza,
ci siamo costrette a liberarci da tante convinzioni pre-imposte per osservare e
capire al meglio la realtà che ci circondava. Questo, ovvio, senza perdere i
nostri principi, senza accettare cose per noi ingiuste. Ma anche senza
giudicare, rinnegare o disprezzare la diversità che ci trovavamo davanti ogni
giorno.
Spero non vengano fraintesi gli intenti di queste righe.
Ragazzi vi abbiamo conosciuti appena, ma sono sicura siete
forti e pieni di buone idee e volontà. Nessun dubbio sulla buona riuscita del
vostro progetto, spero passi in fretta questo momento in cui vi sentite un po’
in difficoltà.
Un abbraccio, anzi, due!
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