Rimani molto, davvero molto deluso nel vedere le reazioni
che hanno i tuoi concittadini alla proposta di aiuto verso alcuni rifugiati
siriani, che scappano non per gioco, o per avventura, ma scappano perché
qualcuno sta distruggendo le loro case, le loro vite, minacciandoli di
cancellare quello che è stato il loro passato e impedendo loro di sognare un futuro
migliore. E perché poi? Perché non regalare loro un briciolo di speranza? Una
piccolo segnale che qualcuno al mondo riesce ancora ad amare gratuitamente?
Perché ai nostri italiani manca un lavoro, mancano i soldi, manca la macchina
nuova, mancano le vacanze al mare, manca tutto.
Si, ma tutto cosa?
Ed è proprio in questi giorni che, seguendo Marianna e
Stefano al centro nutrizionale, ho avuto la possibilità di aprire gli occhi, di toccare con mano cosa
significa “manca tutto”. E vi assicuro che subito non è facile. Qui vengono
seguiti i bambini malnutriti, garantendo loro il giusto supporto di medicine
accompagnato da un’alimentazione idonea, che possa permettergli di rimettersi
in sesto, e tornare a vivere. Appena siamo arrivati i più attivi ci sono corsi
incontro, speranzosi di esser presi in braccio, gli altri, chi più deboluccio,
chi più piccolo, ci aspettavano seduti a terra o sotto la capanna. Alcuni di
loro sono orfani di entrambi i genitori, o abbandonati dal padre, altri
adottati dalla nonna o da qualche parente lontano, altri ancora hanno la
propria famiglia, che però per mancanza di voglia o risorse non riescono a
sfamarli. Ed una cosa è comune in loro: non hanno nulla. Fare dei paragoni è
stupido, ma credo che a casa nostra, chi più e chi meno, ci siamo abituati al
superfluo, al vivere con un certo agio e non siamo più in grado di ringraziare
e di sentirci fortunati per quel che invece diamo per scontato, come un tetto
sopra la testa, un genitore su cuoi contare, un piatto di pasta o semplicemente
due occhi che vedono (vero Verò?).
Ultimamente, poi, ho letto con curiosità che davanti ai
negozi di telefonia si formano interminabili code umane per riuscire ad
accaparrarsi il nuovo iPhone. Da un lato
credo sia giusto che ognuno soddisfi quelli che son i propri desideri o i
propri sfizi, ma dall’altro ho paura che pian piano questa società, i mass
media, le mode, creino in noi dei bisogni che non ci appartengono, che facciano
nascere in noi la necessità di avere l’auto, il telefono o gli abiti “alla
moda”, così da essere accettati non per quello che siamo ma piuttosto per
quello che abbiamo. Ho paura che una volta svuotati del nostro avere non siamo
più nulla.
Per quanto mi riguarda ringrazio il buon vecchio Wesley,
Vicky, Cristopher, Maò, Misenga, Tshibola e tutti gli altri bimbi del centro,
come ringrazio i volontari che ci lavorano, mi aiutano a comprendere quello di
cui veramente abbiamo bisogno, e quello che invece posso donare agli altri, e
con ciò non intendo i soliti soldi, ma piuttosto attenzione, ascolto o un po’
del mio tempo. È senz’altro sia una bella sfida per tutti noi!
Una persona molto saggia qui a Tshimbulu mi ha detto che un
articolo è meglio concluderlo con una
citazione, perché fa più effetto, colpisce di più, quindi seguo il suo
consiglio e ve ne regalo una…
Berthold Auerbach
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