lunedì 21 ottobre 2013

Ismael

Oggi il piccolo Ismael compie tre mesi. È il mio nipotino, il primo, ed è incredibile quanto riesca a sentirne la mancanza nonostante sia presente da così poco tempo nella mia vita. Lo penso molto spesso e credo una parte di me si senta un po’ in colpa per non essere a casa a vederlo crescere.  L’emozione di tenerlo in braccio quella prima volta in ospedale e la commozione l’ultimo giorno prima d partire quando gli ho sussurrato quanto bene gli voglio, le sento anche oggi nel vedere le foto dei suoi sorrisi o di quelle faccine buffe immortalate prontamente dalla sua mamma. In qualche modo me lo porto in giro per Tshimbulu, fisso immagini e fatti nella memoria con il pensiero che quando sarà più grande avrò qualcosa da raccontargli, e allora ne sarà valsa ancor più la pena. Gli dirò dei bambini, ovvio, delle case così diverse dalle nostre, della musica, degli animali liberi, dei giochi e del sapersi divertire con veramente pochissimo. E gli racconterò, esattamente come succede nelle fiabe, di questo posto in cui la magia esiste, se non altro nella misura in cui tutti credono ci sia davvero. Maghi buoni e stregoni, maledizioni e formule di protezione, capre stregate e collane incantate. Saprà che anche sua zia è stata magica per un po’, che l’hanno creduta in possesso di chissà quale potere, che le ha permesso di arrivare fin quaggiù protetta. O almeno di questo ne sono convinti alcuni ragazzi del casc, che mi hanno chiesto che tipo di magia possiedo…come li spiego altrimenti gli orecchini, i tatuaggi o il piercing nel braccio? Impossibile far capire che si tratta di una strana concezione di bellezza. Devono essere per forza una sorta di talismani, ci sta però che nn me la sento di svelare i miei segreti, probabilmente vengono dalla mia famiglia, non li posso certo divulgare così. Gli dirò poi di Rita e Emanuele, la piccola compie un anno domenica, Ema ne ha tre e tre mesi, e si godono un’infanzia al naturale, imparando a condividere i biscotti e a giocare senza troppi apparecchi elettronici. E sono felici. Quando poi una domenica di pioggia ci ritroveremo assieme a guardar fuori dalla finestra, gli spiegherò come si apre il cielo a Tshimbulu dopo un temporale, come il sole allora regali un tramonto spettacolare da godersi durante una “petite promenade”. Ieri Cienke, Tresor e Tony ci hanno portate a vedere i pesci, nel tentativo di sollevarci il morale per la mancata partita di pallavolo causa maltempo. Loro, in ciabatte, andavano velocissimi su stradine fangose tra uno stagno e l’altro. Noi, incerte e senza equilibrio, cercavamo di stargli dietro tra una risata e l’altra. Dopo essere scese tra i pescatori, aver visto pesciolini e fotografato l’impossibile assecondando le loro richieste, siamo risalite fino ad un angolo di paradiso intriso di luce rossastra. Ed è stato uno di quei momenti in cui realizzi davvero dove sei, in cui respiri a fondo cercando di far entrare un po’ di quel sole anche dentro di te.
Mi divertirò nel vederlo stupirsi per cose così lontane dal suo mondo, cercando di insegnargli che non è da considerarsi solo povero, ma che è da apprezzare per le ricchezze che offre. 
E se poi dovesse venirgli voglia d andare a scoprire la sua di magia, sarò più che felice di accompagnarlo anche in capo al mondo.

domenica 20 ottobre 2013

Le stranezze del Congo –tshimbulu...

La capra “posseduta” e un paese in subbuglio
Ieri mattina, io e Maria, come sempre siamo andate al nostro tanto caro centro nutrizionale per lavorare. Fino a qui nulla di strano, se non fosse che appena arrivate abbiamo visto tutte le mamme dei bimbi che sono ospitati al centro armate fino ai denti, bastoni e pietre,inizialmente non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo, poi, guardandoci un pò intorno ci siamo rese conto che il motivo di tanta agitazione era una capra...si, avete letto bene una capra!..Il suddetto animale era li, che si “divertiva” a rincorrere tutti i banbini che ovviamente urlavano e le mamma  per difenderli inveivano contro la capra con bastoni e pietre,davvero una scena surreale!
Quanto detto però non è tutto, perchè nel pomeriggio mentre stavamo lavorando al CASC sentiamo tanta gente gridare, dalla curiosità usciamo e cosa vediamo?... Di nuovo la capra correre, questa volta però dietro una folla di gente a dir poco impaurita. Allora, anche qui, la folla ha deciso di armarsi e inveire contro la capra.la tecnica era: accerchiare l’ animale, picchiarlo e poi quando questo cadeva sfinito al suolo iniziava la conta versione combattimento di lotta libera,centinaia di persone che contavano, e nel momento in cui la capra si rialzava ripartiva la corsa della capra dietro la gente fino a che non riuscivano di nuovo ad accerchiarla e così via.
Incuriosita da tutta la faccenda, ho chiesto un pò in giro il perchè secondo loro la capra si comportava in quel modo e le risposte mi hanno lasciato a bocca aperta.
La capra, secondo loro, era posseduta da uno spirito maligno, questo spirito una volta apparteneva ad un abitante del villaggio che per liberarsene ha chiesto ad uno stregone del posto di esorcizzarlo e di
trasmettere la cattiveria nel corpo della capra.Detto fatto, pagando lo stregone questo uomo è ritornato buono e la capra cattiva, ragione per cui la capra aggressiva non poteva morire poichè il problema principale era che nessuno voleva che questo spirito cattivo uscisse dal corpo di quell’animale.
 Storia davvero affascinante, che fa capire la necessità dell’uomo di dare spiegazioni a tutti gli avvenimenti strani della vita a maggior ragione se non si è in grado di dare spiegazioni scientifiche allora meglio raccontarsi storie meravigliose di magia che hanno per protagonisti stregoni.
Morale della storia, cosa avesse davvero quella capra non è dato sapersi.

Io e Maria da parte nostra, invece, abbiamo capito che in questa parte del Congo non ci saranno gli animali feroci, non ci saranno elefanti per strada ma di sicuro ci sono le capre possedute da spiriti maligni che aggrediscono le persone!!!

lunedì 14 ottobre 2013

Voli di farfalla.

Le farfalle a Tshimbulu sono tante, con colori e dimensioni da togliere il fiato. 
Sembrano trasportare  un messaggio tutto loro, si fanno vedere quando si ha bisogno di un sorriso. Antonietta mi ha raccontato delle “fate della casa”, un fenomeno della tradizione pugliese tutto da invidiare, e mi sono convinta che in Congo non possono che essere farfalle. Le mie preferite hanno grandi occhi dipinti sul dorso, gialle, nere e con altre sfumature incredibili. Amano i fiori bianchi, quelli profumati che Angela ci portava in casa perché “ricordano il gelsomino”. Capita di vederle volteggiare in coppia, danzare assieme come pochi innamorati sanno fare, e fanno pensare. Soprattutto a come le cose belle siano ovunque, per quanto possano durare poco. Le farfalle a Tshimbulu sono anche negli occhi dei bambini, e ballare con loro ricorda quello sbattere d’ali spensierato e leggero. 
Questa settimana dal centro Moyo se ne sono andati tre bambini e la loro mamma. È un’ottima cosa, significa che sono abbastanza forti da continuare la loro vita a casa, ma abbracciarli e pensare di non rivederli più è stato commuovente, per usare un eufemismo. Il più piccino aveva l’abitudine di fare la pipì quando lo si prendeva in braccio. O meglio, quando noi lo prendevamo in braccio! Con la sua mamma era educatissimo…da me si dice che è acqua santa, benedette per i prossimi dieci anni.L’altro invece è la tenerezza fatta bambino. Gonfio a causa della malnutrizione, maldestro e goffo, che ti si attacca ai pantaloni per chiedere l’abbraccio, o per nascondersi quando gli altri lo prendono in giro. E il più grande ci aiutava tutti i giorni, ci ha insegnato a contare in tshiluba e costringeva gli altri a seguirci nei giochi. Preziosissimo! Salutarli, mentre ci guardavano un po’ straniti, non abituati a vederci tristi, mi sono tornate in mente le farfalle. Sono pronti per volare davvero…e vederli sarà uno spettacolo.

mercoledì 9 ottobre 2013

Riso bianco con formaggio

Dallo SVE ci è arrivata la richiesta di scrivere una ricetta tipica a base di riso. Nel leggere i vari post dei ragazzi in giro per il mondo, avevamo inizialmente rinunciato all'idea di parteciparvi. Poi Paolo, adulandoci un pò, ci ha convinte a dare il nostro contributo.
Ecco quel che è venuto fuori.

A Tshimbulu, RD Congo, si può rivelare fin troppo difficile trovare una ricetta da acquolina in bocca. Il fatto è che qui non c’è una grande varietà di cibo da poter scegliere, e il piatto tipico per eccellenza (nonché l’unico per la maggior parte della popolazione) è la “buille” che non ha nulla a che fare con il riso.
Ecco dunque quella che si è rivelata essere la ricetta ideale in momenti in cui non si ha voglia di mettersi ad impastare seriamente:
-          Setacciare accuratamente il riso nel tentativo, molto spesso inutile, di togliere tutti quei simpaticissimi insettini neri che l’hanno fatto diventare il loro vitto e alloggio.
-          Accendere il fornello a petrolio, con relativo pericolo di far saltare tutto in aria,di bruciarsi una mano o di rovesciarne il contenuto (poco commestibile) nei casi più fortunati, ed apporvi pentolino pieno d’acqua.
-          Nell’attesa che  venga il momento di aggiungere del sale grosso, tagliare a pezzettini piccoli, quanto basta,  il formaggio,se disponibile. Testimonianze dirette riferiscono infatti la possibilità di dover fare a meno di questo ingrediente nel caso in cui a Goma ci sia la guerra. Consigliamo dunque chi mai dovesse venire fin qui, di assicurarsene una scorta consistente da mettere in valigia.
-          Al momento dell’ebolizzione aggiungere il sale e poi il riso. Il momento è delicato, assicuratevi che l’equilibrio del pentolino non ne risenta.
-          Controllate la cottura del riso che può metterci dai dieci ai venticinque minuti a seconda di quanto tempo sia stato esposto alla temperatura congolese. Quando vi sembra pronto, scolatelo, rimettendolo poi  nel suddetto pentolino. Altro momento cruciale, la seguente successione di movimenti deve essere fatta in rapidità per sfruttare il calore preesistente nella pentola, in quanto la piastra si può accendere solo in caso di sole (l’energia dipende dai pannelli solari), e non è il caso di sprecare troppo petrolio. In velocità quindi aggiungere un filo di olio di palma, il formaggio, e mescolare con dovuta accuratezza l”impasto”.
-          Nel malaugurato caso in cui il riso si appiccichi, aggiungere ancora un po’ d’olio. Sconsigliamo però di abusare della sostanza perché probabilmente tossica e non di certo assimilabile all’adorato olio d’oliva.
-          Disporre il riso cosiffatto sui piatti e prepararsi al lauto pranzetto.
-          Ricordarsi di coprire il residuo con un coperchio, onde evitare i numerevoli suicidi di “blatte” più  o meno grandi  inevitabilmente attirate da qualsiasi cosa commestibile. E non.
Sperando di avervi invogliati a provare anche voi a casa, vi consigliamo poi di accompagnare la portata con frutta a volontà. Se il riso può non essere una meraviglia, nel qual caso siete voi ad aver sbagliato qualche passaggio ovviamente, ci si può decisamente rifare con tutte le bontà culinarie che offre la natura, tra manghi, avocado, ananas o cocco. In questo caso, però, quello che l’Africa offre non è paragonabile con nulla che si possa trovare nel più fornito negozio europeo. Spiacenti.

                                                                                                                              Antonietta Servedio, Maria Monauni

domenica 6 ottobre 2013

Domenica sera

A Tshimbulu ora piove. È la stagione delle pioggie, in effetti. Otto mesi caratterizzati da acquazzoni più o meno violenti, in diverse ore della giornata. Tendenzialmente succede che fa caldo, tanto caldo, poi si alza un po’ di vento. Dapprima leggero, appena un piccolo movimento di foglie di palma,poi forte, tanto forte da trasportare nuvoloni neri che stavano nascosti chissà dove. E poi succede. Tuoni e saette, e tanta acqua. Sembra ci sia qualcuno che dallalto apre un celestiale rubinetto. E tutti corrono, tutto tace. È una pioggia dispettosa a volte, che coglie impreparati e bagna tutti i vestiti stesi ad asciugare che non si è fatto in tempo a ritirare. O che rende inutile il lavoro di un intero pomeriggio quando si cucina per un reggimento, inconsapevoli che il vento si alzerà di sera, e che quindi gli invitati non riusciranno mai a raggiungere il banchetto causa pioggia. E allora si mangiano gli avanzi per una settimana. 
Ma è anche una pioggia che fa sorridere, se non ridere proprio. Le grondaie del CASC offrono l’occasione di una doccia al naturale quando piove, e allora si vedono i bambini pieni di sapone che ballano e ridono, contenti di quest’improvviso divertimento.  Ed è inevitabile essere contagiate da quella felicità.  
Noi stesse,poi, siamo motivo di risate quando qualcuno ci coglie ad ammirare il temporale, o ci sorprende mentre sussultiamo per un lampo ,o un tuono che sia, più forte degli altri. 
Oggi il tempo è stato clemente, ci ha lasciato finire la partita di pallavolo più sconfusionata e senza regole della storia, prima di rivelarsi in tutta la sua forza. Rifugiate al CASC, abbiamo apprezzato ogni singolo attimo delle chiacchiere e della situazione “obbligata” dal non potersi muovere da lì. E il rientro verso casa, a lume di una torcia, tra pozzanghere e acqua dal cielo, è stato più difficile del previsto, a rischio scivoloni e colpevole di scontri con oggetti non visti. E dire che quella strada la facciamo tutti i giorni. 
Non sembra accenni a smettere, mi accompagnerà mentre scivolo in un sonno ristoratore, cullerà i miei pensieri durante sogni certamente meravigliosi. 
Buona notte Tshimbulu.