domenica 15 dicembre 2013

Quasi Natale

Si avvicina il Natale, per noi una festa tutta nuova quest’anno. Qui non ci sono case illuminate, mercatini, pubblicità, panettoni o torroni a ricordarci che sta arrivando. E tantomeno il freddo. E’ la prima volta per entrambe che siamo lontane da famiglia ed amici in quest’occasione, e ci si ritrova spesso a pensare a quante cose abbiamo dato per scontato negli anni passati, a come spesso prese dalla frenesia dei regali e dei preparativi ci siamo dimenticate di riflettere su tutto il resto. Che si voglia o no, indipendentemente dal proprio credo religioso, è innegabile che in questo periodo  in famiglia si stia più vicini, tra amici ci siano cene su cene, e che sia il momento per sentire quelle persone che fanno parte delle proprie vite ma che sono lontane. E i preparativi in casa sono d’obbligo. A casa mia sono una scusa per prendersi una domenica mattina da condividere nel tentativo di azzeccare la combinazione giusta di bocce sull'albero, e per prendere un pò in giro il papà che ogni anno si inventa situazioni diverse per il presepe (..chissà questa  volta da dove vengono i Re Magi…). Per non parlare poi dell’impegno che ci mettono i nonni. La nonna con una pazienza infinita a preparare il suo ”zelten” e a pensare alla disposizione dei tavoli per il pranzo di Natale, e il nonno con minuziosa cura ad allestire presepio e albero, ogni anno con l’aggiunta di qualcosa, ogni anno con qualche storia da raccontare sulle statutine che partecipano da generazioni.  E l’attesa della neve, esattamente come quando si era bambini. Bardarsi da capo a piedi per andare a camminare di notte la dove si è sicuri non sia passato nessuno per sprofondare nella neve soffice, o organizzare slittate notturne tra gente che ormai si dovrebbe considerare adulta ma che perde qualsiasi accenno di maturità una volta trovata la pendenza giusta. 
Quest’anno poi è il primo del mio splendido nipotino, non lo vedrò perplesso davanti alla novità di colori, luci e pacchettini.

Ma a Tshimbulu non ci si demoralizza, anzi. Per rimediare all'assenza di atmosfera, abbiamo attaccato una fila di lucette sulle finestre…poco importa che non si accendano per risparmiare elettricità! 
Il nostro regalo è arrivato in anticipo e ci riteniamo soddisfatte. Si chiama Francesca, una ragazza davvero bella ed intelligente che ci terrà compagnia tutto il mese di dicembre, lavorando in maternità. Si è creata da subito una forte complicità, e a modo nostro ci sentiamo un po’ come in famiglia. Fortunata come sono,  le mie due compagne sono pure delle ottime cuoche, avrò un pranzo natalizio degno di qualsiasi tavola italiana combinando esperienza pugliese e abruzzese, con l’aggiunta delle prodezze culinarie di Katia. 
Al Casc è in corso una colletta tra gli animatori per fare invece un pranzo tutto africano, e i bambini hanno colorato delle statutine di carta per addobbare un presepio decisamente particolare, con capanna intrecciata a mano e una quantità non indifferente di asinelli, Guseppe e Maria, il risultato del lasciare scegliere ad una settantina di bambini cosa vogliono colorare.

“Vibration”, con un sorriso tutto denti, è quanto ci dice Cesco parlando di ciò che ci aspetta, entusiasta che quest’anno si festeggerà assieme…e del tutto inconsapevole che noi siamo più emozionate di lui allidea di avere un’occasione come questa, quasi scosse da quanto già ci siano entrati nel cuore i ragazzi e le loro storie.  


sabato 16 novembre 2013

..il sabato del villaggio...

Sabato mattina. Colazione con calma, pulizia della camera e doccia. In giornate come questa mi sento a casa, mi fa bene occuparmi della risistemazione dei miei spazi! Tanto tempo che non scrivo qualcosa, e non sicuramente perché mancano le cose da dire. L’ultimo periodo è stato intenso, lavorativamente parlando e non. Sono i mesi peggiori per quanto riguarda il problema della malnutrizione, sembra infatti che in questo periodo scarseggi il cibo disponibile, e di conseguenza il centro Moyo è particolarmente affollato. Diversamente dal solito sono tutti piccolini, che complica un po’ l’organizzazione delle attività, ma facilità la comunicazione e la predisposizione a farli diventare tutti un po’ figli nostri. I gemellini sono quelli che regalano più soddisfazioni. Kanku e Mbuy, abbandonati praticamente alla nascita dalla matrigna (la mamma è morta mettendoli al mondo), fanno parte del centro da parecchi mesi. Il padre ha firmato per liberarsene, a casa non li vuole, ed ora che stanno bene si deve trovare una sistemazione per loro. Molto probabilmente andranno a Kananga nell'orfanotrofio delle suore. Sono bellissimi entrambi, se solo si potesse, ce li porteremmo volentieri in Italia, senza dubbio. Comunque, Kanku inizia a camminare, un po’ in ritardo se si considera che ha più di un anno, ma vederlo incerto muovere i suoi primi passetti è davvero una grande emozione. Mbuy invece non riesce ancora a reggersi in piedi, temiamo ci sia qualche problema con il piedino sinistro, non lo appoggia mai e la gambina è rigida. Remy, il medico, ci ha promesso di dargli un’occhiata. E noi lo tampineremo finchè non lo farà davvero! Grandi progetti per Natale, sfruttando la manodopera dei ragazzi del CASC che saranno in vacanza, pensiamo di risistemare l’intera struttura…un po’ di necessarissima pulizia, una riverniciata e la creazione di una stanza per i giochi, da vivere soprattutto in caso di pioggia. Tumba invece se n’è tornato a casa. So che non si dovrebbero fare preferenze, ma lui era davvero il mio “coccolo”! Sono arrivati in quattro, tutti fratelli, tutti malnutriti, ma di un’allegria contagiosa a dir poco. Lui è muto, e decisamente dipendente dagli abbracci. Mi si attaccava alle gambe sorridendo e richiamando l’attenzione finchè non lo prendevo in braccio,e li ci rimaneva fino a che non me ne andavo. Quando se ne vanno rimane il pensiero di quel che si è fatto assieme. Ben poco, forse, ma l’idea di averlo fatto ridere il più possibile, lascia una piccola consolazione.
Al CASC ci sono stati grandi cambiamenti invece, arrivate nuove leve, e partito Costa. Ma questa è una storia lunga. Basti sapere che il nostro rapporto con i ragazzi migliora di giorno in giorno, a forza di chiacchiere serali e partite di pallavolo. Ogni tanto ci viene in mente che da qui ce ne dovremmo andare, e già si fa sentire la tristezza all’idea di non vederli più. Nonostante, ovviamente, siano tutti convinti che ci si rincontrerà quando verranno in Europa.

Sabato di sole. Da qui si sentono le canzoni trasmesse dalla stazione radio, appena fuori casa, e si respira un clima di festa. Solito via vai di donne cariche d’acqua sulla testa (rimane un mistero per noi come facciano a sopportarne il peso), e battito di mani ritmico delle bambine che giocano tra di loro. 
Gran giorno oggi, per sta sera è in programma la pizza in casa Coe!  

lunedì 21 ottobre 2013

Ismael

Oggi il piccolo Ismael compie tre mesi. È il mio nipotino, il primo, ed è incredibile quanto riesca a sentirne la mancanza nonostante sia presente da così poco tempo nella mia vita. Lo penso molto spesso e credo una parte di me si senta un po’ in colpa per non essere a casa a vederlo crescere.  L’emozione di tenerlo in braccio quella prima volta in ospedale e la commozione l’ultimo giorno prima d partire quando gli ho sussurrato quanto bene gli voglio, le sento anche oggi nel vedere le foto dei suoi sorrisi o di quelle faccine buffe immortalate prontamente dalla sua mamma. In qualche modo me lo porto in giro per Tshimbulu, fisso immagini e fatti nella memoria con il pensiero che quando sarà più grande avrò qualcosa da raccontargli, e allora ne sarà valsa ancor più la pena. Gli dirò dei bambini, ovvio, delle case così diverse dalle nostre, della musica, degli animali liberi, dei giochi e del sapersi divertire con veramente pochissimo. E gli racconterò, esattamente come succede nelle fiabe, di questo posto in cui la magia esiste, se non altro nella misura in cui tutti credono ci sia davvero. Maghi buoni e stregoni, maledizioni e formule di protezione, capre stregate e collane incantate. Saprà che anche sua zia è stata magica per un po’, che l’hanno creduta in possesso di chissà quale potere, che le ha permesso di arrivare fin quaggiù protetta. O almeno di questo ne sono convinti alcuni ragazzi del casc, che mi hanno chiesto che tipo di magia possiedo…come li spiego altrimenti gli orecchini, i tatuaggi o il piercing nel braccio? Impossibile far capire che si tratta di una strana concezione di bellezza. Devono essere per forza una sorta di talismani, ci sta però che nn me la sento di svelare i miei segreti, probabilmente vengono dalla mia famiglia, non li posso certo divulgare così. Gli dirò poi di Rita e Emanuele, la piccola compie un anno domenica, Ema ne ha tre e tre mesi, e si godono un’infanzia al naturale, imparando a condividere i biscotti e a giocare senza troppi apparecchi elettronici. E sono felici. Quando poi una domenica di pioggia ci ritroveremo assieme a guardar fuori dalla finestra, gli spiegherò come si apre il cielo a Tshimbulu dopo un temporale, come il sole allora regali un tramonto spettacolare da godersi durante una “petite promenade”. Ieri Cienke, Tresor e Tony ci hanno portate a vedere i pesci, nel tentativo di sollevarci il morale per la mancata partita di pallavolo causa maltempo. Loro, in ciabatte, andavano velocissimi su stradine fangose tra uno stagno e l’altro. Noi, incerte e senza equilibrio, cercavamo di stargli dietro tra una risata e l’altra. Dopo essere scese tra i pescatori, aver visto pesciolini e fotografato l’impossibile assecondando le loro richieste, siamo risalite fino ad un angolo di paradiso intriso di luce rossastra. Ed è stato uno di quei momenti in cui realizzi davvero dove sei, in cui respiri a fondo cercando di far entrare un po’ di quel sole anche dentro di te.
Mi divertirò nel vederlo stupirsi per cose così lontane dal suo mondo, cercando di insegnargli che non è da considerarsi solo povero, ma che è da apprezzare per le ricchezze che offre. 
E se poi dovesse venirgli voglia d andare a scoprire la sua di magia, sarò più che felice di accompagnarlo anche in capo al mondo.

domenica 20 ottobre 2013

Le stranezze del Congo –tshimbulu...

La capra “posseduta” e un paese in subbuglio
Ieri mattina, io e Maria, come sempre siamo andate al nostro tanto caro centro nutrizionale per lavorare. Fino a qui nulla di strano, se non fosse che appena arrivate abbiamo visto tutte le mamme dei bimbi che sono ospitati al centro armate fino ai denti, bastoni e pietre,inizialmente non riuscivamo a capire cosa stesse succedendo, poi, guardandoci un pò intorno ci siamo rese conto che il motivo di tanta agitazione era una capra...si, avete letto bene una capra!..Il suddetto animale era li, che si “divertiva” a rincorrere tutti i banbini che ovviamente urlavano e le mamma  per difenderli inveivano contro la capra con bastoni e pietre,davvero una scena surreale!
Quanto detto però non è tutto, perchè nel pomeriggio mentre stavamo lavorando al CASC sentiamo tanta gente gridare, dalla curiosità usciamo e cosa vediamo?... Di nuovo la capra correre, questa volta però dietro una folla di gente a dir poco impaurita. Allora, anche qui, la folla ha deciso di armarsi e inveire contro la capra.la tecnica era: accerchiare l’ animale, picchiarlo e poi quando questo cadeva sfinito al suolo iniziava la conta versione combattimento di lotta libera,centinaia di persone che contavano, e nel momento in cui la capra si rialzava ripartiva la corsa della capra dietro la gente fino a che non riuscivano di nuovo ad accerchiarla e così via.
Incuriosita da tutta la faccenda, ho chiesto un pò in giro il perchè secondo loro la capra si comportava in quel modo e le risposte mi hanno lasciato a bocca aperta.
La capra, secondo loro, era posseduta da uno spirito maligno, questo spirito una volta apparteneva ad un abitante del villaggio che per liberarsene ha chiesto ad uno stregone del posto di esorcizzarlo e di
trasmettere la cattiveria nel corpo della capra.Detto fatto, pagando lo stregone questo uomo è ritornato buono e la capra cattiva, ragione per cui la capra aggressiva non poteva morire poichè il problema principale era che nessuno voleva che questo spirito cattivo uscisse dal corpo di quell’animale.
 Storia davvero affascinante, che fa capire la necessità dell’uomo di dare spiegazioni a tutti gli avvenimenti strani della vita a maggior ragione se non si è in grado di dare spiegazioni scientifiche allora meglio raccontarsi storie meravigliose di magia che hanno per protagonisti stregoni.
Morale della storia, cosa avesse davvero quella capra non è dato sapersi.

Io e Maria da parte nostra, invece, abbiamo capito che in questa parte del Congo non ci saranno gli animali feroci, non ci saranno elefanti per strada ma di sicuro ci sono le capre possedute da spiriti maligni che aggrediscono le persone!!!

lunedì 14 ottobre 2013

Voli di farfalla.

Le farfalle a Tshimbulu sono tante, con colori e dimensioni da togliere il fiato. 
Sembrano trasportare  un messaggio tutto loro, si fanno vedere quando si ha bisogno di un sorriso. Antonietta mi ha raccontato delle “fate della casa”, un fenomeno della tradizione pugliese tutto da invidiare, e mi sono convinta che in Congo non possono che essere farfalle. Le mie preferite hanno grandi occhi dipinti sul dorso, gialle, nere e con altre sfumature incredibili. Amano i fiori bianchi, quelli profumati che Angela ci portava in casa perché “ricordano il gelsomino”. Capita di vederle volteggiare in coppia, danzare assieme come pochi innamorati sanno fare, e fanno pensare. Soprattutto a come le cose belle siano ovunque, per quanto possano durare poco. Le farfalle a Tshimbulu sono anche negli occhi dei bambini, e ballare con loro ricorda quello sbattere d’ali spensierato e leggero. 
Questa settimana dal centro Moyo se ne sono andati tre bambini e la loro mamma. È un’ottima cosa, significa che sono abbastanza forti da continuare la loro vita a casa, ma abbracciarli e pensare di non rivederli più è stato commuovente, per usare un eufemismo. Il più piccino aveva l’abitudine di fare la pipì quando lo si prendeva in braccio. O meglio, quando noi lo prendevamo in braccio! Con la sua mamma era educatissimo…da me si dice che è acqua santa, benedette per i prossimi dieci anni.L’altro invece è la tenerezza fatta bambino. Gonfio a causa della malnutrizione, maldestro e goffo, che ti si attacca ai pantaloni per chiedere l’abbraccio, o per nascondersi quando gli altri lo prendono in giro. E il più grande ci aiutava tutti i giorni, ci ha insegnato a contare in tshiluba e costringeva gli altri a seguirci nei giochi. Preziosissimo! Salutarli, mentre ci guardavano un po’ straniti, non abituati a vederci tristi, mi sono tornate in mente le farfalle. Sono pronti per volare davvero…e vederli sarà uno spettacolo.

mercoledì 9 ottobre 2013

Riso bianco con formaggio

Dallo SVE ci è arrivata la richiesta di scrivere una ricetta tipica a base di riso. Nel leggere i vari post dei ragazzi in giro per il mondo, avevamo inizialmente rinunciato all'idea di parteciparvi. Poi Paolo, adulandoci un pò, ci ha convinte a dare il nostro contributo.
Ecco quel che è venuto fuori.

A Tshimbulu, RD Congo, si può rivelare fin troppo difficile trovare una ricetta da acquolina in bocca. Il fatto è che qui non c’è una grande varietà di cibo da poter scegliere, e il piatto tipico per eccellenza (nonché l’unico per la maggior parte della popolazione) è la “buille” che non ha nulla a che fare con il riso.
Ecco dunque quella che si è rivelata essere la ricetta ideale in momenti in cui non si ha voglia di mettersi ad impastare seriamente:
-          Setacciare accuratamente il riso nel tentativo, molto spesso inutile, di togliere tutti quei simpaticissimi insettini neri che l’hanno fatto diventare il loro vitto e alloggio.
-          Accendere il fornello a petrolio, con relativo pericolo di far saltare tutto in aria,di bruciarsi una mano o di rovesciarne il contenuto (poco commestibile) nei casi più fortunati, ed apporvi pentolino pieno d’acqua.
-          Nell’attesa che  venga il momento di aggiungere del sale grosso, tagliare a pezzettini piccoli, quanto basta,  il formaggio,se disponibile. Testimonianze dirette riferiscono infatti la possibilità di dover fare a meno di questo ingrediente nel caso in cui a Goma ci sia la guerra. Consigliamo dunque chi mai dovesse venire fin qui, di assicurarsene una scorta consistente da mettere in valigia.
-          Al momento dell’ebolizzione aggiungere il sale e poi il riso. Il momento è delicato, assicuratevi che l’equilibrio del pentolino non ne risenta.
-          Controllate la cottura del riso che può metterci dai dieci ai venticinque minuti a seconda di quanto tempo sia stato esposto alla temperatura congolese. Quando vi sembra pronto, scolatelo, rimettendolo poi  nel suddetto pentolino. Altro momento cruciale, la seguente successione di movimenti deve essere fatta in rapidità per sfruttare il calore preesistente nella pentola, in quanto la piastra si può accendere solo in caso di sole (l’energia dipende dai pannelli solari), e non è il caso di sprecare troppo petrolio. In velocità quindi aggiungere un filo di olio di palma, il formaggio, e mescolare con dovuta accuratezza l”impasto”.
-          Nel malaugurato caso in cui il riso si appiccichi, aggiungere ancora un po’ d’olio. Sconsigliamo però di abusare della sostanza perché probabilmente tossica e non di certo assimilabile all’adorato olio d’oliva.
-          Disporre il riso cosiffatto sui piatti e prepararsi al lauto pranzetto.
-          Ricordarsi di coprire il residuo con un coperchio, onde evitare i numerevoli suicidi di “blatte” più  o meno grandi  inevitabilmente attirate da qualsiasi cosa commestibile. E non.
Sperando di avervi invogliati a provare anche voi a casa, vi consigliamo poi di accompagnare la portata con frutta a volontà. Se il riso può non essere una meraviglia, nel qual caso siete voi ad aver sbagliato qualche passaggio ovviamente, ci si può decisamente rifare con tutte le bontà culinarie che offre la natura, tra manghi, avocado, ananas o cocco. In questo caso, però, quello che l’Africa offre non è paragonabile con nulla che si possa trovare nel più fornito negozio europeo. Spiacenti.

                                                                                                                              Antonietta Servedio, Maria Monauni

domenica 6 ottobre 2013

Domenica sera

A Tshimbulu ora piove. È la stagione delle pioggie, in effetti. Otto mesi caratterizzati da acquazzoni più o meno violenti, in diverse ore della giornata. Tendenzialmente succede che fa caldo, tanto caldo, poi si alza un po’ di vento. Dapprima leggero, appena un piccolo movimento di foglie di palma,poi forte, tanto forte da trasportare nuvoloni neri che stavano nascosti chissà dove. E poi succede. Tuoni e saette, e tanta acqua. Sembra ci sia qualcuno che dallalto apre un celestiale rubinetto. E tutti corrono, tutto tace. È una pioggia dispettosa a volte, che coglie impreparati e bagna tutti i vestiti stesi ad asciugare che non si è fatto in tempo a ritirare. O che rende inutile il lavoro di un intero pomeriggio quando si cucina per un reggimento, inconsapevoli che il vento si alzerà di sera, e che quindi gli invitati non riusciranno mai a raggiungere il banchetto causa pioggia. E allora si mangiano gli avanzi per una settimana. 
Ma è anche una pioggia che fa sorridere, se non ridere proprio. Le grondaie del CASC offrono l’occasione di una doccia al naturale quando piove, e allora si vedono i bambini pieni di sapone che ballano e ridono, contenti di quest’improvviso divertimento.  Ed è inevitabile essere contagiate da quella felicità.  
Noi stesse,poi, siamo motivo di risate quando qualcuno ci coglie ad ammirare il temporale, o ci sorprende mentre sussultiamo per un lampo ,o un tuono che sia, più forte degli altri. 
Oggi il tempo è stato clemente, ci ha lasciato finire la partita di pallavolo più sconfusionata e senza regole della storia, prima di rivelarsi in tutta la sua forza. Rifugiate al CASC, abbiamo apprezzato ogni singolo attimo delle chiacchiere e della situazione “obbligata” dal non potersi muovere da lì. E il rientro verso casa, a lume di una torcia, tra pozzanghere e acqua dal cielo, è stato più difficile del previsto, a rischio scivoloni e colpevole di scontri con oggetti non visti. E dire che quella strada la facciamo tutti i giorni. 
Non sembra accenni a smettere, mi accompagnerà mentre scivolo in un sonno ristoratore, cullerà i miei pensieri durante sogni certamente meravigliosi. 
Buona notte Tshimbulu.

lunedì 30 settembre 2013

I SUONI DEL CONGO

Mi è capitato tante volte prima della partenza per il Congo di fantasticare sulla realtà che avrei trovato una volta arrivata qui , pensavo ai colori, ai tramonti, alle notti stellata e sprattutto pensavo a tutti i nuovi suoni e le meraviglie della natura che avrei avuto la possibilità di vedere e sentire, immaginavo che mi sarebbe capitato di sentire il ruggito dei leone, di vedere scimmie arrampicarsi, elefanti per le strade , capanne, alberi altissimi di cocco e tantissime palme..
Tutto questo dando un occhiata a quello che mi circonda l’ho trovato(a eccezione dei leoni edegli elelefanti) e  mi ha riempito gli occhi, le orecchie e il cuore di gioia. Quando poi mi sono soffermata ad ascoltare con più attenzione i suoni del Congo ho sentito che ce n’è uno davvero bello  ed è la gioia dei bambini. Una costante.  Qui i bambini piangono solo perchè hanno fame e se  sono ammalati . Se, invece, sono ricoverati in ospedale, sono costretti a sopportare flebo, iniezioni e tanto altro, quando ti avvicini per chiedergli come va  ti dicono che  stanno bene e, se ci riescono accennano anche ad un sorriso. Hanno tanta dignità!!..
Oggi ero a lavoro al centro nutrizionale con Maria e tra le diverse attività da fare con i bambini, abbiamo deciso di utilizzare i colori a tempera. Qui i colori a tempera sono una novità. Ai più piccoli faceva paura vedere che qualcosa che loro nn conoscevano potesse cambiargli il colore della pelle ,poi però, presa un pò più di confidenza con i colori, si sono divertiti un mondo, utilizzando persino le loro dita come pennelli... bastava chiudere gli occhi e ascoltare le loro risate per sentirsi felici.
Imsomma, sembrerà tutto troppo scontato, ma vedere lo stupore e la meraviglia negli occhi di un bambino da le sue soddisfazioni...e se questo è il Congo, malgrado tutte le difficoltà che sarò costretta ad affrontare e nonostante non ci siano leoni ed elefanti, sono felice di essere qui!!!

                                                                                                                             Antonietta Servedio

giovedì 26 settembre 2013

Buongiorno Tshimbulu!

Ieri è stata una giornata emotivamente importante. E sta notte sono tornata bambina, ho sognato la classe delle elementari, gli amici di allora e mi sentivo turbata dai problemi di quell'età...dovevo andare a giocare, non volevo andare dal medico.
Sta mattina a Tshimbulu splende il sole in ogni goccia lasciata dalla pioggia notturna.
Pronte  e cariche per affrontare un'altra giornata.
http://www.youtube.com/watch?v=M8lAW1weiMc

domenica 22 settembre 2013

TEMPORALE

Ed è bastato un temporale per farci restare a bocca aperta.... Africa-Congo-Tshimbulu,un piccolo villaggio,la forza di questa terra manifestatasi con un temporale ...l’incanto di due straniere nell’osservare lo splendore di questo posto... Sono due settimane che io e la mia amica Maria abbiamo iniziato quest’ avventura, inutile dire che la bellezza del Congo ci ha lasciato più volte e per lunghi momenti in silenzio a bocca aperta ,ma questo pomeriggio subito dopo pranzo abbiamo finalmente potuto vedere il nostro primo temporale Africano... Ad un tratto il cielo è diventato cupo portandosi via, così, non solo la meraviglia del cielo azzurro ma anche le grida dei bambini che giocano nei campi ,in un istante tutto qui è diventato serio ,silenzioso e rigoroso..la natura con la sua forza è stata in grado di mettere a tacere la voglia di vivere di questo popolo che, vi posso assicurare ,ogni giorno fa di tutto per vivere e restare in vita. La pioggia è caduta ininterrottamente per quasi un’ora, accompagnata da un forte vento che ha dato vita a tutto il verde che ci circonda, per alcuni istanti sembrava perfino che le palme si inchinassero davanti a così tanta forza,mentre tutto il mondo animale è rimasto impaurito ad osservare. Ora il temporale è finito da un pò , per i campi si è ripreso a vivere,le donne hanno ripreso a trasportare cibi vari nelle grosse ceste che portano sul capo,i bambini gridano e giocano ,alcuni con la loro bicicletta carica di taniche vuote si dirigono verso il pozzo per fare scorta di acqua,altri, invece, restano un pò come me fermi a guardare e a pensare come è possibile che in una terra ricca come questa ,sia ancora la natura a dettare le regole per la sopravvivenza. Antonietta Servedio

MUTOKE, MOYO!

Quando, a 26 anni, si ha la possibilità di andare in Africa per otto mesi, ed è la prima volta che si accede al Continente, l’immaginazione viaggia in anticipo e costruisce la meta combinando gli elementi a disposizione. E allora ci si può quasi vedere, mesi dopo, in un paradiso terrestre, con gli elefanti vicino casa, le capanne, la foresta, canti e balli tutto il giorno, frutti mai visti e il cielo africano che toglie il respiro ogni volta che guardi in su. E invece si arriva a Tshimbulu. Anzi, prima si atterra a Kinshasa, che rende tutto più drammatico. La città offre il peggio di una metropoli europea, combinato ad un costante senso di insicurezza, odore di gomma bruciata e tantissima polvere che fagocita parte della numerosa popolazione che lavora,o vive, in strada. 24 comuni, 10 milioni di abitanti e una presenza considerevole di stranieri, alcuni membri dell’UN, altri rappresentanti di quel commercio che sta derubando il Congo delle sue più grandi ricchezze. E non parlo solo dei diamanti. Auguro a chiunque passi di lì di incontrare lo spirito e la forza delle persone che ci hanno ospitato, coccolato ed iniziato alla vita africana. E’ ancora vivo, e soprattutto attivo, il desiderio di cambiare le cose, di aggiustare comportamenti, di fornire gli strumenti necessari ad affrontare una vita difficile. Lodevoli, davvero. Ci sono stati momenti intensi, commuoventi e pure belli in compagnia dei bambini di strada o degli ex bambini soldato delle Bendicta, attimi di relax sulle sponde del fiume Congo, e tanti discorsi nel tentativo di cominciare a capire qualcosa di questo immenso Paese. Non demoralizzate alla fine dunque, ma con l’impaziente desiderio di raggiungere la destinazione finale: il Kasai Occidentale, Kananga, Tshimbulu. Il giorno dopo l’arrivo notturno, si mette il naso fuori casa per scoprire che si ci sono le capanne, ma gli animali si risolvono in galline nere e capre, di elefanti insomma neanche l’ombra. La visita in ospedale colpisce lo stomaco quanto basta per farci rimanere senza parole, poco preparate soprattutto alla vista di un bambino, così piccolo,magro e con occhi tanto grandi. Le persone poi ci guardano attentamente,parlano, e noi non riusciamo a capire nemmeno una parola. La casa in compenso è ben al di sopra le nostre aspettative, spaziosa e fornita di acqua calda e corrente praticamente sempre. In più, la presenza di Angela che, non si sa come, riesce a combinare quei quattro alimenti disponibili in manicaretti vari, rende le giornate sicuramente più piacevoli. Katia ci introduce al nostro futuro lavoro e cerca di darci un’idea del passato del Congo, cosicché si scopre la storia coloniale, le lotte e gli interventi esterni più o meno positivi (anche il Che è passato di qua!!) e ci si fa un quadro della fondamentalmente disorganizzata popolazione congolese. Si cominciano anche le visite al centro nutrizionale e al CASC, con le relative perplessità dovute all'impostazione ancora troppo occidentale…com’è pensabile che i bambini stiano senza pannolini? Ci vuole poco per capire che i problemi non si fermano lì…ma ancora meno ad innamorarsi di quelle creaturine. Il CASC poi è un’esplosione di vita, lo spazio da subito ci stupisce per l’organizzazione ferrea e le numerose attività programmate. Domenica si va al mercato. La strada fino a lì ci da l’occasione di sbirciare nella vita quotidiana del villaggio, di farci conoscere un po’ e di lasciarci divertire dai bambini per strada. “Mutoke, moyo!”, (bianche, buongiorno!) e i più corrono verso di noi per stringerci la mano, gli altri ci salutano da lontano. Capita infatti che alcuni bambini non osino avvicinarsi troppo perché hanno paura. Del resto se non stanno buoni, qui si dice loro che viene l’uomo bianco a prenderseli. Punti di vista. Dopo un lungo giro tra le bancarelle, sotto il sole che un po’ prende la testa, si ritorna verso casa cariche di frutta e verdura. E finalmente le capanne le vediamo davvero. Tutto sembra più bello, così vero e naturale che non si vorrebbe stare da nessun’altra parte, finalmente ci sembra di averla trovata l’Africa, la nostra Africa. E si rimane in questo stato di “illuminazione” per un po’. Anche l’ospedale è come se lo vedessimo per la prima volta, non fatto di soli malati ma, e soprattutto, di tanta gente che lavora per loro. Capiamo finalmente che si tratta di una vera ricchezza per il villaggio (e dintorni). A due settimane dall’inizio della nostra permanenza, a me ed Antonietta non rimane che tenere aperti cuore e mente per lasciare che questo posto entri a far parte di noi. Anche quando si deve correre in giro per il prato tentando di riacchiappare un gallo… Maria Monauni

lunedì 26 agosto 2013

Tshimbulu

Ecco un nuovo blog nell'universo infinito dei blog. Sarà dedicato o meglio sarà tenuto dei vari amici, conoscenti e volontari di passaggio per un periodo più o meno lungo qui a Tshimbulu, Kasai Occidentale, RD Congo.