Ho letto di recente una citazione “Nella vita non contano
i passi che fai, né le scarpe che usi, ma le impronte che lasci” e ho avuto
un’illuminazione sul perché di tutta questa sabbia a Tshimbulu e dei relativi 8
mesi di pioggia.
Che fatica non abbattersi per le tante sconfitte che sto
vivendo, solo oggi sono morti due bambini. Uno era con noi da più di un mese
e non si è capita la vera causa di morte se non che la madre non accudiva il
proprio figlio e l’altro è arrivato troppo tardi in ospedale e non hanno
neanche avuto il tempo di incanulargli una vena.
Ma queste sono grosse sconfitte, ci sono anche quelle più
piccole, di tutti i giorni, come il fatto che ogni mattina qualcuno rubi il
pezzo di sapone che i bambini dovrebbero usare per lavarsi le mani prima di
mangiare, o come l’ennesima persona che mi riferisce di non aver ricevuto da
mangiare in ospedale. Stavolta la colpa pare sia mia, perché 3 giorni fa non ho
ricordato all’infermiere, responsabile della gestione sanitaria con 40 anni di
esperienza a quanto pare anche premi e onorificenze, di scrivere sul foglio di
trasferimento (dal centro nutrizionale all’ospedale) anche i nomi della madre e
della sorella (entrambe malnutrite) oltre a quello del bambino di 12 mesi, malnutrito
e febbricitante, in questione. Il fatto che fino a 8 giorni fa lo stesso trio
fosse ricoverato sotto regime nutrizionale nello stesso reparto di pediatria
non ha fatto accendere la lampadina a nessuno. In effetti in questi giorni è
piovuto molto, le impronte devono essersi cancellate. E l’elettricità è rara
qui.
Il confronto con gli altri volontari è fondamentale anche
se a volte le indicazioni ricevute sembrano così poco confortanti… accettare il
fatto che nella nostra esperienza qui non vedremo praticamente mai dei
risultati positivi, non perché non ci saranno ma perché non saranno tangibili,
non è facile. E quando ti imbatti in ripetuti episodi negativi è proprio
l’ultima cosa che ti viene in mente.
Pensare che forse qualche nostra parola in
tshiluba/francese/piemontese o italiano che sia o semplicemente il nostro
esempio possa evitare che un bambino muoia per la malnutrizione o che un altro
abbia il permesso dei genitori di andare a scuola e diventi così un difensore
dei diritti di nonsochè o che una ragazza non sforni il primo figlio a 15 anni
e non sia così obbligata a sposarsi e diventare la terza moglie di un vecchio
bavoso non è una grande consolazione, ma è l’unica cosa alla quale possiamo
appigliarci qui a Tshimbulu, villaggio sabbioso e piovoso dell’Africa nera.
Oltre alla finta crema di cioccolato che oggi Valerio è
riuscito a trovare per noi a Kananga.