martedì 17 giugno 2014

...nostalgia canaglia!

È già più di un mese ormai che siamo rientrate a casa. E pensare a Tshimbulu da quassù è davvero strano. Tanto diverso che a volte mi sembra non sia nemmeno possibile esista quella realtà. Altre invece la sento ancora martellare in testa e nel cuore, tanto forte che mi viene una nostalgia incredibile. Nostalgia che paradossalmente, laggiù, non ho mai sentito pensando a casa, quassù.
Comunque, ho letto l’articolo di Marianna e colgo l’occasione per alcune riflessioni. Chissà che non possano risultarle utili.
È indubbiamente vero che la violenza è parte integrante della vita dei bambini congolesi, e del loro sistema educativo. Non so se le è mai capitato di assistere ad una lezione di scuola elementare…lo schiaffo in testa è quasi una maniera di richiamare l’attenzione. Lungi da me voler giustificare questo metodo. Trovo sia giusto però dire che noi (Anto ed io), così come tutte le altre persone passate di lì (tra cui maestre elementari ed altri scout) ci siamo messe d’impegno per far entrare in testa a tutti, bambini e non, che questo non è il modo giusto di ottenere rispetto, ordine e “disciplina”. Quando siamo arrivate c’era l’usanza di chiudere nello sgabuzzino al buio i bambini che avevano combinato qualche marachella, uno alla volta, tanto per fare un esempio di ciò che abbiamo trovato. Mi auguro sia una punizione ormai caduta in disuso. In nostra presenza eravamo riuscite ad ottenere una totale assenza di uso delle mani, non senza fatica, ovviamente, e non con l’illusione che l’atteggiamento non si ripeterà mai più. Purtroppo, essendo i bambini abituati a questo tipo di educazione, è estremamente difficile riuscire a farsi rispettare senza usare la forza. Tanto più se si è donne, e bianche. Non è mai successo che noi si cadesse nella tentazione di mettere le mani addosso ai bambini (anche se, fidatevi, a volte sanno davvero mettere a dura prova la pazienza), eppure tutti i partecipanti alle attività avevano imparato a riconoscerci come delle autorità, a rispettare compiti, obblighi e sgridate senza il bisogno di prenderli per le orecchie o altro. Certo, ci vuole tempo. Ma soprattutto, ci vuole un atteggiamento positivo, propositivo. Mi dispiace leggere che Marianna pensa addirittura siano “incivili”. Indubbiamente hanno una cultura diversa dalla nostra, ma questo non significa non ci sia o sia meno ricca. Mi chiedo quanto possa essere costruttivo questo tipo di atteggiamento…e un po’ mi sento in dovere di difendere chi non può farlo da sé perché non legge il blog e non parla italiano. Gli animatori del casc sono tutti volontari. A parte Cesco e Jeanpaul, ai quali Katia paga la scuola solo se sono regolari alle attività, gli altri vengono perché credono sia giusto farlo. Nei nostri tempi migliori eravamo arrivate ad avere 14 collaboratori, tutti a tempo perso, tutti con il solo guadagno del piacere di fare qualcosa per qualcun altro. Vien da se che quindi vanno motivati, vanno fatti sentire importanti, inclusi in ogni processo decisionale. E forse se si parte dal presupposto siano degli incivili o che non siano in grado di ragionare, diventa tutto più difficile. Sono dei ragazzi con delle grandi potenzialità, sta a voi riuscire a tirargliele fuori. E sono più che sicura ce la farete.

Sono consapevole che ogni esperienza sia unica, che le impressioni e le emozioni di qualcuno non possono essere condivise uguali da qualcun altro. Ma noi, sono più che sicura di poter parlare anche a nome di Anto, ci siamo innamorate di quel villaggio, dei suoi abitanti e di quella cultura tanto difficile da capire all’inizio. Potessi, prenderei un aereo e scenderei domani. Credo per noi sia andato tutto bene, ovviamente non senza attimi di sconforto, momenti difficili e situazioni quasi ingestibili, perché abbiamo capito che dovevamo fare qualche passo indietro per poterci avvicinare davvero alle persone che ci stavano attorno. E non dico indietro nel senso di regresso, ma un paio di passi più lontane dalla nostra cultura di appartenenza, ci siamo costrette a liberarci da tante convinzioni pre-imposte per osservare e capire al meglio la realtà che ci circondava. Questo, ovvio, senza perdere i nostri principi, senza accettare cose per noi ingiuste. Ma anche senza giudicare, rinnegare o disprezzare la diversità che ci trovavamo davanti ogni giorno.
Spero non vengano fraintesi gli intenti di queste righe.

Ragazzi vi abbiamo conosciuti appena, ma sono sicura siete forti e pieni di buone idee e volontà. Nessun dubbio sulla buona riuscita del vostro progetto, spero passi in fretta questo momento in cui vi sentite un po’ in difficoltà. 
Un abbraccio, anzi, due!

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